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La Posta dei Lettori. Un grido di dolore per Frontone

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La Redazione
Postaa

 

Riceviamo alla casella di posta del Sito da una lettrice di cui conosciamo solo l’indirizzo mail. Ci risulta che la stessa lettera è stata inviata anche ad altri organi di stampa
L. R.

Cartolina di Frontone anni '60

Egregio Sindaco di Ponza,

chi scrive è un’assidua e affezionata frequentatrice di Ponza.

Sono approdata per la prima volta su quest’isola meravigliosa a 18 anni e da quel momento è entrata a far parte di me. Ora ne ho 49 e ho avuto modo di girovagare abbastanza, ma la sensazione di appartenenza che questo angolo di mondo ha generato in me è qualcosa di veramente eccezionale e unico.

Ho avuto la fortuna di apprezzarne i luoghi e le meraviglie nel corso degli anni: da giovane “scapigliata”, da artista alla ricerca di ispirazione, da mamma intraprendente, da semplice amante dell’incanto della natura.
Ogni volta che vengo qui, mi sento un po’ a casa mia.

Ponza è magica, pur nelle sue contraddizioni, sicuramente difficile e faticosa, ma capace di regalare attimi di travolgente bellezza.
In tutti questi anni, ogni volta ho scoperto qualcosa di nuovo: uno scorcio, un volto, un tramonto.
L’isola si è evoluta e non sono mancati episodi negativi, come l’incendio del 1998 o il crollo e la conseguente chiusura di Chiaia di Luna…
Ma quello che ho visto quest’anno è qualcosa di incredibile!

Il Frontone: il gioiello dell’isola, un mix di natura, gusto e ingegno umano, unico nel suo genere.
Una struttura elegante, confortevole raffinata che si fonde nella natura in modo davvero speciale.
Uno dei luoghi più belli del mondo, in cui riescono a convivere persone di tutte le estrazioni sociali e di tutte le età.
Un luogo caratterizzato da un’atmosfera magica e carica di energia.
Un luogo dove puoi incontrare il giovane pariolino modaiolo, lo snob appena sceso dal suo yacht, la famigliola con bambini al seguito, lo scrittore a caccia di ispirazione o il pittore che tratteggia il fantastico colpo d’occhio che la natura offre… tutti attratti ed accomunati dall’armonia che si sprigiona da questo spicchio di terra e mare sospeso tra realtà e incanto… ecco tutto questo è stato DISTRUTTO!!!
Tutto questo ê stato ridotto ad un cumulo di MACERIE!!!!
Tutto questo è stato CANCELLATO!!!!
O meglio, non proprio tutto, poiché l’ECOMOSTRO che campeggia sull’unica spiaggia di Ponza da svariati decenni, quello è ancora lì. Anzi, per la verità, quello scempio non solo non è stato abbattuto, ma è stato ulteriormente edificato: sono stati aggiunti un piano superiore ed un portico, il tutto rigorosamente in cemento!!!

Lo sconcerto per tutto questo  è leggibile negli occhi degli abitué che, come me, non sanno capire il motivo di tanta barbarie, nonché in quelli dei turisti occasionali, che domandano e si domandano ”ma sarebbe questa la tanto decantata spiaggia del Frontone?!?”
Quello che si vede, macerie a parte, è un ammasso umano (o forse, dovrei dire ‘disumano’!) di persone, in condizioni igieniche inesistenti, che si guardano intorno alla ricerca di un bagno, per poi scorgere con orrore quelli chimici mal mimetizzati, dietro delle squallide cannucce che non riescono ad assolvere il loro dovere, ovvero quello di renderli meno visibili, non certo meno maleodoranti.
E quello che hanno davanti agli occhi è una spiaggia senza un cestino per i rifiuti (e l’italiano medio, si sa, è un po’ pigro, e se gli si fornisce un alibi, lo utilizza…), risultato: il Frontone è diventata una specie di discarica selvaggia.
A questo si aggiungano transennamenti e cartelli di ordinanze, che vietano il transito la sosta e la balneazione, abbattuti, divelti o quanto meno, ignorati!

Mi domando come sia possibile dichiarare una zona pericolante e non transitabile e al contempo vedere quel viavai di barche che sputano decine e decine di turisti, che vengono accerchiati da venditori ambulanti di ombra, nonché di gelati, bibite e panini.
Non manca ovviamente il ristorante inerpicato dentro una grotta… ma quella zona non era inagibile?!?

Quello che però davvero non capisco, è come tutto questo degrado possa lasciare indifferenti i ponzesi.
Come possano sopportare una ferita di tale portata.
Come facciano a non capire che all’isola è stato inflitto un colpo terribile.
Mi domando come sia possibile accettare supinamente e passivamente la distruzione di tanta bellezza.

Personalmente so che non riesco ad assistere al declino e alla distruzione di un luogo che amo profondamente, perciò vado via dalla mia amata Ponza, anticipando la partenza, nella speranza che a tutto questo qualcuno ponga al più presto rimedio.

Mentre a lei chiedo semplicemente: perché?

Donatella, un’amante di Ponza.

Frontone. il cosiddetto Ecomostro

Spiaggia Frontone

Immagini. Nella foto a inizio pagina una cartolina di Frontone anni ’60; nelle due foto inferiori la situazione di qualche anno fa


Ventotene, isola di contadini

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di Sandro Vitiello

 

Ventotene ha una struttura geologica completamente diversa da quella di Ponza e Palmarola.
La natura della sua terra è molto simile a quella della costa procidana e di quella ischitana. Comunque non è uniforme: nella parte più alta (punta dell’Arco) siamo in presenza di roccia vulcanica più scura e compatta con la parte superficiale definita in gergo locale “pozzolana”.
La parte più bassa, prossima al porto, ha una connotazione tufacea che si evidenzia molto bene all’ingresso del porto: la zona di “pietra tagliata”. La superficie di questo suolo è di tipo sabbioso.

Ventotene ha una storia contadina, a differenza di Ponza, isola di pescatori e marinai oltre che di agricoltori.

Sicuramente la vocazione alla terra è stata dettata da un fondale marino poco felice ma è anche vero che il suolo dell’isola ha sempre offerto tanto.
Non ha grandi dislivelli e le rocce, che caratterizzano la morfologia ponzese, sono quasi assenti.

Negli anni ’50 da Ventotene partivano bastimenti carichi di fave e lenticchie, destinate anche agli Stati Uniti.
Era pratica comune portare, anche con barche a remi e vela, i fichi d’india ad Ischia.
I Ventotenesi erano professionisti della terra che vivevano coltivando la propria isola.

Il prodotto più tipico, che si è affermato nel tempo, era ed è ancora oggi la lenticchia.
Il prezioso legume dell’isola è considerato un’eccellenza alimentare.
È un prodotto biologico ed è anche un’oasi di qualità, visto il suo totale isolamento dal resto dal mondo.
La lavorazione nei campi è fatta quasi esclusivamente a mano o, al massimo, con l’ausilio di piccoli trattori. Nessun trattamento con prodotti chimici neanche come concime. L’unico apporto dell’uomo è un po’ di stallatico.

Lenticchie Ventotene

Coltivazione di lenticchie a Ventotene

Ventotene produce almeno 50 quintali di lenticchie all’anno.
Il raccolto è appannaggio quasi esclusivo di tre importanti produttori che, insieme, valgono almeno i tre quarti del raccolto. Una decina di altri produttori contribuiscono al resto.
Ventotene però ha anche alcune piccole nicchie di prodotti della terra che vale la pena raccontare.

Origano Ventotene

Coltivazione di origano a Ventotene

Alcune famiglie dell’isola custodiscono da quattro-cinque generazioni le sementi di melanzane, pomodori, fave, piselli e fagioli.
Sono i semi di piante già coltivate agli inizi del secolo scorso e continuamente tramandate di padre in figlio come eredità, insieme alle terre.
Ad ogni nuovo raccolto venivano e vengono individuate le piante migliori con i “frutti” più sani e più grossi e li si lascia crescere “a semenza”.
Si rinuncia ad una parte del raccolto per garantirsi nel futuro qualcosa ancora migliore e più abbondante.

La conoscenza del terreno, dei climi, dell’influenza del mare e la storia dei singoli prodotti coltivati ha portato a creare diverse nicchie di eccellenza che oggi conviene considerare con occhio molto attento.
Ad esempio la coltivazione delle fave presuppone la selezione del seme “femmina” che sarà conservato per la semina.

Fave femmine

Fava maschio

Fave ‘femmine’ e, sotto, fava ‘maschio’

Un baccello con solo 4-5 semi produce una fava molto grossa e dolce.
Mangiata fresca non porta quel retrogusto amarognolo, a volte poco gradevole. Secca  racchiude un concentrato di sapori e carboidrati che manifestano tutta la loro bontà anche solo bollite e accompagnate con cipolla fresca, olio e sale: alcuni mettono anche l’aceto.
Roba da nuovelle cuisine!?

Melanzane

Le melanzane sono di un colore violaceo brillante con una buccia molto sottile e pressoché prive di semi.
In cottura, possono essere preparate senza “ammazzarle” troppo.
La stessa buccia al palato si rivela essere molto gradevole.
Il sapore è quello tipico ma proprio perché tipico e pulito si esalta al meglio con cotture leggere.
E’ un piacere unico assaggiarle appena raccolte, ridotte a striscioline e saltate in padella con un po’ di olio buono e qualche pomodoro “scummazzato”.

La coltivazione di questi prodotti è possibile grazie anche a siepi che hanno funzione frangivento e di barriera a protezione dalla salsedine: sono fatte con piante di piroforo; la foglia di questa pianta resiste al vento e agli spruzzi di mare. Col tempo ha sostituito le “cannucciate” fatte con canne dell’isola, tenute insieme con rami di pioppo, sempre dell’isola.
C’erano anche i “sarcinielli”; piccole fascine fatte con i rami della potatura delle viti. Venivano usati sia come frangivento che come parasole davanti alle abitazioni in campagna.
Prima ancora, agli albori – fine ’700 – la difesa dal vento veniva attuata con le piante di fichi d’india.
Le siepi di fichi d’India avevano anche una funzione catastale: definivano i limiti di una proprietà; nel dialetto locale venivano chiamati “limmt”.

Ventotene aveva anche una storia di vini molto importante.
Alcuni produttori dell’isola arrivavano a produrne anche duecento barili di vini; almeno diecimila litri. Venivano commerciati verso la costa napoletana.
Le famiglie Assenso e Verde sull’isola, si erano specializzati nel commercio verso la costa di questi prodotti, soprattutto per i legumi.

L’isola aveva una sua autonomia anche per quanto riguarda la produzione di carni, di latte e dei suoi derivati.
Per dirla con i tempi di oggi avrebbe un PIL in positivo.

Verso la fine degli anni ’60 questo modello felice è andato in crisi. La passione per la terra è stata abbandonata a favore del turismo.
Si guadagnava facendo meno fatica ad affittare le case anziché zappare la terra.
…E poi?

Via Pertini a Ventotene

Via Pertini a Ventotene

Verso la fine degli anni ’90 qualcuno ha fatto memoria del passato dell’isola e ha scoperto che un pezzo importante della sua identità stava andando a perdersi.
Piano piano sono stati ripristinati i terreni e le antiche sementi hanno ritrovato il loro giusto posto nell’economia della comunità.

Oggi Ventotene ha riscoperto il valore anche economico di quella sua storia ma ha soprattutto verificato che il “progetto isola” ha bisogno anche e soprattutto di quella identità che fa la differenza.

 

Sergio Vero al Winspeare

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ricevuto  in Redazione
Sergio Vero

 

Serata speciale al Winspeare a Ponza con un cantante speciale, Sergio Vero, da sempre in concerti live su e giù per l’Italia, a cantare in tribute, in oltre due ore no-stop, le celebri canzoni di Adriano Celentano, alle ore 23.00 del 30 agosto 2014.
Ospite d’onore il titolato giornalista tv Ovidio Martucci.

Winspeare. Ponza

 

Locandina in file pdf. del cantante: Sergio Vero

Ritratti fornesi. Suor Assunta e Suor Lucia, le nipoti dell’“Abbadessa”

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di Giuseppe Mazzella
Suore sfondo Cala Feola

 

Tutto ebbe inizio con la nonna materna Assunta, nata nel 1888. Donna forte e fiera, dotata di vigoria fisica e morale fuori dal comune, era rimasta vedova a soli 26 anni, con tre figlie a cui badare.
L’amato marito Domenico se l’era portato via la Prima Guerra Mondiale. Nonostante la giovane età, e rifiutando numerose proposte di matrimonio assai vantaggiose, condusse una vita sobria e di sacrifici, sempre pronta a mettere a disposizione di tutti i suoi doni curativi e le fervide preghiere. Tanto da meritare presto l’appellativo di “Abbadessa”.
Viveva con la figlia Teresa, madre di cinque figli, ma in casa era lei che dettava la linea, a cui nessuno osava opporsi. Una vita di lavoro, vissuti con serenità, che ne fecero un modello per tutti gli abitanti di Le Forna.

Quando morì nel 1973, una settimana dopo la festività di San Silverio dei Pescatori, che si celebra oggi come allora l’ultima domenica di febbraio, don Gennaro Sandolo, parroco di Le Forna, disse nell’omelia funebre che era morta una grande donna, che aveva donato tutto il suo impegno e le sue cure ai concittadini malati, confortandoli anche con la preghiera.

È alla sua “scuola” che si sono formate le nipoti Suora Assunta nata nel 1935 e Suor Lucia, nata due anni dopo. Le due sorelle appartengono alla Congregazione delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo. Dopo alcuni anni di assenza dall’isola, vi sono tornate per pochi giorni in occasione della festa della Madonna Assunta di metà agosto a Le Forna. Accompagnate dal fratello Enrico, mio amico d’infanzia, mi hanno offerto l’opportunità di intervistarle.

Avete vissuto la vostra infanzia in un’epoca semplice e non contaminata . Quale è il vostro ricordo di quegli anni?
“Quando eravamo bambine a Le Forna non c’era la luce. La vita in famiglia era semplice, vissuta sui ritmi del lavoro e delle devozioni.
È stata nonna Assunta a spingerci alla preghiera e alla compassione. Noi osservavamo quello che faceva per le persone che soffrivano per qualche problema di salute, mentre recitava le preghiere. E la sera il Santo Rosario era d’obbligo. Noi piccoline a volte faticavamo a stare sveglie e una volta per punizione ci mandò a dormire nella ‘grotta della paglia’, dove ci addormentammo subito. Solo qualche ora più tardi mamma fu autorizzata a venirci a prelevare e a portarci nel nostro letto. Nonna Assunta era inflessibile e non ammetteva che le disobbedissimo”.

Suor Assunta come è nata in te la vocazione?
Ero giovanissima, poco più di dieci anni, quando rimasi profondamente colpita da una storia e da alcune massime eterne che leggevo nel libro di nonna. La storia raccontava di un principe innamorato di una principessa e  del suo lungo viaggio per raggiungerla. Una volta arrivato al castello dove viveva, però, scopriva che la principessa era morta e il suo corpo già in decomposizione. Questa storia e la massima, contenuta nel Vangelo di Matteo, che dice “Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano, ma fatevi tesori nei cieli”, suscitarono la mia vocazione, cioè quella di dedicarmi agli altri e ad opere che vadano al di là della vita contingente. E a quattordici anni entrai a scuola, ad Acuto, dalle “Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue di Cristo”.

Come fu accettata la tua vocazione in famiglia?
Nonna Assunta, ovviamente, assai favorevolmente. Gli altri familiari erano molto perplessi e preoccupati, soprattutto mio padre. Fui, allora, mandata con lui in Sardegna, a Cala Gonone, per la stagione di pesca, perché provvedessi a cucinare e a tenere in ordine la barca, ma probabilmente con il segreto intendimento di distogliermi dall’idea di farmi suora.  Alla fine, però, vista la mia insistenza, capirono e mi lasciarono andare”.

E per te Lucia, come è andata?
“La mia vocazione, sicuramente favorita dalla scelta di mia sorella, fu ancora più osteggiata. Al punto che dovetti minacciare mia madre che, appena raggiunta la maggiore età di 21 anni, mi sarei fatta monaca di clausura, così che non mi avrebbero più potuta vedere. E allora cedettero”.

Oggi che siete impegnate per anni in missioni in lontani Paesi, come vi appare Ponza della vostra infanzia?
“Il ritorno alla nostra isola e ai nostri familiari è sempre una gioia. Ma quanto è diversa Ponza da allora! Noi vivevamo in maniera semplice con poche cose, sotto lo sguardo vigile e severo di nonna Assunta che aveva però per noi un affetto incondizionato. Se ci faceva filare dritto era per il nostro bene.
Nonna era molto severa soprattutto con se stessa.
La settimana di Pasqua, come in altre ricorrenze religiose, preparava pranzi succulenti per tutti noi, ma per lei osservava un assoluto digiuno. Specie quando doveva occuparsi della salute dei bambini, che le mamme preoccupate portavano a lei quasi ogni giorno, lei si raccoglieva intensamente in preghiera e ci ricordava ogni momento che a curare era nostro Signore e non lei con la sua povera arte naturale. Utilizzava, infatti, il granoturco con cui segnava i porri, accompagnando il rito con segni di croce e preghiere appena sussurrate; faceva scomparire le macchie scure dalla pelle utilizzando lumache vive che passava sulla parte; un secchio di legno messo a mollo nel pozzo, le forniva quel muschio che passava sul petto dei bambini inappetenti. La sua antica sapienza lei la traeva come da se stessa e dalla tradizione antica, forse dai nonni. Non aveva studiato, ma leggeva con grande concentrazione i libri Sacri. Ogni momento della giornata, poi, era buono per recitare preghiere e rivolgersi a Dio”.

Conosceva anche delle preghiere in dialetto con cui ritmava la giornata?
“Sì, ne recitava tantissime e ce le faceva imparare a memoria. Ad esempio al momento di andare a dormire ripeteva assieme a noi: “Io me cocc’ ’nda ’stu liett’ – ’a Madonna ’a teng’ ’mpiett’ – ie dorm’ e ie veglie – se è qualcosa mi risveglia. Gesù Cristo m’è padre… ’a Madonna m’è madre… i Santi me so’ parient’ – Gesù Cristo dint’ a ’sta nuttata – nu’ me fate passa’ niente”.

Sembra uno stile di vita ricopiato sul motto benedettino: “Ora et labora”.
“Proprio così. Fu proprio per questa presenza insistente delle preghiere, che nostra nonna fu chiamata solennemente l’“abbatessa”.
Una abbatessa, però, che, assieme alla preghiera, era sempre pronta ad aiutare ed era in prima fila quando succedeva una disgrazia.
Una volta, ricordiamo, tre pescatori restarono dilaniati mentre disinnescavano una mina da cui ricavare polvere da sparo con cui confezionare bombe per prendere pesci.
Nonna fu quella che accorse per ricomporre quei poveri resti martoriati, perché i familiari non ne avevano il coraggio”.


Una vita semplice, di grandi esempi di generosità, ma anche povera.
“Una vita semplice, certo, ma in casa nostra non mancava niente. Allevavamo un maiale, galline e conigli, zappavamo la terra, andavamo, ad esempio, ai Faraglioni per raccogliere nella ricorrenza di San Giuseppe i vermicelli di mare con i quali facevamo delle frittelle gustosissime.
Nonna, poi, era bravissima a lavorare la canapa, con la quale i pescatori costruivano i loro attrezzi da pesca. Fabbricavamo il sapone in casa, prendendo della soda, della bentonite e del lattice di agave che mescolavamo e ne facevamo dei panetti che venivano essiccati.
A noi bambine però mancavano le bambole. E allora utilizzavamo delle pietre lunghe che rivestivamo con delle pezze che nonna teneva da parte per rammendare una veste o una camicia.
Poco più che decenni fummo mandate all’unico corso di taglio e cucito di Le Forna. Lo organizzava Civitina, moglie di “Gennaro ’a Posta”: ricordo ancora come mi spiegava tutta precisina nel suo dialetto – era originaria di Suio di Castelforte – il modo di fare l’orlo alle gonne. Del resto il corso di cucito era anche l’unica alternativa al lavoro domestico di noi bambine di allora e credo sia stato usato come ulteriore mezzo per distrarci dalla nostra vocazione”.

Una vocazione che è impregnata dei ricordi d’infanzia e di questa grande nonna.
“Certamente. Da lei abbiamo appreso un grande messaggio di solidarietà. Ed è per questo che oggi noi siamo contente di far parte di una Congregazione impegnata nell’apostolato missionario in ben 23 Paesi del mondo, soprattutto dell’Africa, ad assistere bambini, anziani e malati. Il nostro modello è e rimane nonna Assunta e noi le siamo grate per averci indicato la strada giusta”.

 

Ci salutiamo e ci scambiamo gli auguri di serenità e Suor Assunta neanche accenna che attualmente è al vertice della Congregazione delle Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue e che ancora una volta è in partenza per una delle sue missioni in Tanzania. Suor Lucia, poi, non ricorda neanche il nome del paese del beneventano, che saprò solo più tardi dal fratello Enrico che si tratta di Rotondi, dove andrà subito dopo il ritorno da Ponza.
La loro fede e la loro semplicità disarmante fanno rimpiangere un tempo ormai lontano.

Signora con fazzoletto in testa

Gruppo

Gruppo con suora

Dall’album di famiglia di suor Assunta e suor Lucia; l’anziana signora della prima foto, con il fazzoletto in testa, è nonna Assunta, l’”Abbadessa”

Giulia Vitiello: soprano ponzese

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di Rosanna Conte
Giulia Vitiello.1

 

Giulia Vitiello si sta preparando alla serata. Canterà il repertorio delle canzoni napoletane nel salone della Scuola media “Carlo Pisacane”.

Figlia di Elio Vitiello, delle Forna, e di Anna Mancini, di Cercola, è nata nel 1977 proprio a Cercola (Na) dove i suoi genitori si erano stabiliti dopo la chiusura della miniera presso cui aveva lavorato il padre.
La sua aspirazione era diventare “crocerossina militare”, ma ha svolto studi per Operatrice turistica in un Istituto professionale di Napoli.
Pur respirando aria di musica in casa, perché il suo nonno materno, da bravo bersagliere, suonava la tromba, scopre di avere una voce da soprano a 21 anni cantando in chiesa.
Così nel 2000 si iscrive al Conservatorio di Salerno e studia canto per sei anni. Successivamente consegue la laurea in Discipline musicali per insegnare.
Attualmente per svolgere l’attività di docente deve trasferirsi in Piemonte: in Campania è quasi impossibile inserirsi nella scuola, specie per la sua materia.

Se fossi vissuta a Ponza, secondo te, avresti studiato canto comunque?
No. La scoperta della mia vocalità è avvenuta una domenica mattina cantando in chiesa. Il sacerdote della mia parrocchia, allora seminarista, mi suggerì di studiare canto. Inizialmente io non volevo, non mi piaceva entrare in questo mondo: avevo sempre visto i cantanti lirici come persone egocentriche ed io non mi rispecchiavo in loro. Però, una volta che ho iniziato a coltivare la voce…

Ti esibisci in pubblico e in quali occasioni?
Sì, ci sono state tantissime esibizioni in pubblico. Le prime gratis per farmi conoscere..anche perché i concerti li ho sempre organizzati io. Non è che abbia trovato persone che mi hanno aiutato…ho dovuto pensarci sempre io. In genere sono chiamata dai comuni per cantare in manifestazioni pubbliche e da privati per cantare nei matrimoni; qualche volta ho cantato anche ai funerali.

Il tuo lavoro si svolge solo nel napoletano o vai anche altrove?
In genere nel napoletano, ma nel 2012 sono stata a Trapani dove mi sono esibita in un concerto con la fanfara dei bersaglieri e con la banda musicale di Trapani. Sono stata invitata dal maestro della fanfara che avevo conosciuto su Facebook.

Cosa in genere ti viene richiesto di cantare quando vieni invitata dai comuni?
Di solito il progetto del concerto lo preparo io. Spesso sono arie di opere liriche e siccome i concerti vengono svolti all’interno delle parrocchie, vengono richieste arie particolari oppure musica sacra… il mio amore è proprio la musica sacra.

Quali testi di musica sacra ti piacciono?
Le Ave Maria….se si esclude quella di Schubert che la chiesa non considera musica sacra e ne vieta l’esecuzione in Chiesa;  quindi quella di  Gounod, di Bellini e tante altre. Ma anche il “Panis Angelicus” di  Cesar Frank..

Il pezzo più difficile per te quale è?
Per la musica sacra… ce l’ho dentro e non ho nessuna difficoltà. Non ho difficoltà nemmeno con l’opera perché canto le arie di opera  studiate per la mia vocalità… le arie della Boheme… la mia vocalità si rispecchia molto in quella di Puccini. Forse negli ultimi tempi sto scoprendo Verdi… mi rispecchio nel suo patriottismo… lui è stato uno dei grandi esponenti che ha lottato, dopo Garibaldi,  per l’unità d’Italia ed io amo molto l’Italia, quindi…

C’è stata qualche esibizione che ti ha emozionata in maniera particolare?
Devo dire la verità, la più bella esibizione è stata a Latina… a Maenza il 9 agosto scorso. Lì l’emozione  ha giocato molto; c’era un  pubblico  particolarissimo… attento, l’atmosfera particolare… devo dire la verità sembrava come se mi stessi esibendo la prima volta all’Arena di Verona… a me ha dato questa impressione..

C’è un soprano a cui ti ispiri?
Non avevo mai conosciuto la Callas… di persona sarebbe stato impossibile perché è scomparsa nell’anno in cui sono nata… quindi non ho passioni. L’unica che mi piace moltissimo è Barbara Frittoli, lei sì che mi piace tantissimo. La Callas era la Divina… dei tenori mi piace Bocelli: semplice, elegante nella vocalità… Pavarotti è un mito…

Cioè, i grandi nomi li vedi lontano… Per te il canto cos’è?
Il canto è qualcosa che nasce dal cuore… il canto, per me, è una  preghiera… infatti, lo diceva anche Sant’Agostino: “Chi canta, prega due volte”. Non bisogna cantare solo per scopo di lucro, perché… sì, ci vuole anche quello, bisogna anche sopravvivere… i musicisti sono sempre poveri… però il canto per me è preghiera.

Chi è stato il maestro che ti ha insegnato la tecnica vocale?
Ne ho avuti tanti. Nel 2002 ho iniziato con la prima maestra, Elisabetta Fusco, corista del San Carlo. Di lei ricordo una cosa  particolarissima. Quando andai a fare il provino, perché voleva sentire la voce, ero alle prime armi, mi disse “Bene! Se segui bene, resti, se non segui quella è la porta e te ne puoi andare”. E ricordo ancora che se arrivavo prima alla lezione, non mi faceva salire e aspettavo anche sotto la pioggia, la grandine… Lei diceva che serviva a formarmi…ed in effetti mi ha formata perché adesso non sopporto le persone che  arrivano prima o dopo… devono essere precise.
Poi al Conservatorio ho avuto il mio maestro di Canto, Carlo Tuand di Roma; poi la maestra Emma di Napoli… ne ho avuti diversi… e alla fine quella che ha fatto il boom nella mia vocalità, la signora maestra Laurenza Marilena, di Salerno che mi ha cambiato la voce… tantissimo… proprio tantissimo..

Quale è il tuo legame con Ponza?
Il mio legame con Ponza è nato tutto dal mare… anche perché papà era ponzese…Effettivamente io sono nata a Napoli, sono cresciuta a Cercola… però spesso e volentieri dico che a Napoli ci sono nata, ma io mi sento ponzese a tutti gli effetti.

Papà ti portava a Ponza da piccola?
Io sono stata a Ponza da quando sono nata, sono 37 anni, ma ne sono sempre più innamorata. Ho perso papà a Napoli per una malattia oncologica… però ogni giorno dico sì, a Napoli la sento la sua assenza, però l’avverto molto di più qui, a Ponza, perché  vedo papà negli occhi e nelle espressioni dei ponzesi, comunque sento la sua voce nel canto dei gabbiani, nel tramonto vedo il suo sorriso, papà è qui..

Cosa vorresti dire ai ponzesi?
Le emozioni della musica sono belle e pure, le  note musicali sono perle che curano l’anima e la rendono splendente.
Voglio ringraziare i maestri (Antonio Cafolla ed Elena Kumanova -NdR).  In questi giorni, nonostante qualche difficoltà, ho vissuto un clima bellissimo, di una grande famiglia in cui si lavora per educare e costruire la cultura. Mi congratulo con i genitori dei bambini ponzesi, della loro passione per l’accostamento dei loro figli al mondo musicale. A voi ponzesi la cultura non è mai mancata, anzi cresce.

Alle 22,30 è iniziato il concerto. La voce da soprano di Giulia, limpida, pulita e forte, ha rallegrato la serata del folto pubblico che è venuto ad ascoltarla.

Giulia Vitiello.2

Colpo d’occhio. (5). 15 Agosto

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di Francesco De Luca
Ponza d'estate

.

15 agosto

Gente ca vene

gente ca va,

i partenze so’ chiene

gli arrivi  n’ i  puo’  cunta’.

Ai Punzise  ce rireno  ’ll’ uocchie:

chesta visione da’ ’a vista ai minorchie.

Signo’,  ’stu   tiempo  fallo dura’ fino a settembre

accussì  i turiste schiatteno d’u cauto

e veneno ’cca,

nuie faticammo

e ’sta vernata simme sicure ’i campa’”.

Il ritorno di Viskovitz

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segnalato da Sandro Russo

 

Viskovitz! Chi era costui? - Nunn’è ’nu nomme ’i Ponza… Arradda esse d’i Fforne!
No, non è neanche delle Forna, Viskovitz..!

“Sei una bestia, Viskovitz” è il libro geniale di Alessandro Boffa, biologo e ‘scrittore per caso’; un testo ormai di culto, tradotto in venti lingue che ha avuto tre anni fa una riduzione teatrale da parte di una nostra amica…

Viskovitz Book

Il volumetto di Alessandro Boffa (140 pp.; 2000; Garzanti Ed.;). La chimera fantareale della copertina è del disegnatore Franco Matticchio

 

“Com’era papà?” – chiesi a mia madre.
“Croccante, un po’ salato, ricco di fibre”.
“Prima di mangiartelo, voglio dire”

[Colloquio tra Viskovitz-mantide e sua madre]

 

“Papà, voglio smettere di bere”.
“Non dire sciocchezze, Visko, sei una spugna!”

[Colloquio tra Viskovitz-spugna e suo padre]

Le storie, pur nelle diverse figurazioni ‘bestiali’, hanno degli elementi comuni. L’animale, ovvero ‘la bestia’ – protagonista e io narrante – si chiama sempre Viskovitz; ha degli amici (o antagonisti, sodali, fratelli) in secondo piano, di nome Zucotic, Petrovic e Lopez; ha delle compagne, ma un unico Grande Amore: sempre di nome Ljuba, nelle diverse caratterizzazioni.

Il libro delinea una ventina di ritratti – alcuni folgoranti, di una sola pagina; il più lungo, una quindicina di pagine – di altrettanti esseri viventi, in un ordine non filogenetico… Spazia dal ghiro alla spugna, dal cane alla tenia, allo scarafaggio, allo scorpione e chiude – ma ci sarà una ragione – con un Viskovitz-microbo, che propriamente ‘animale’ non è, ma nella rappresentazione costituisce il passaggio da un insieme sparso di cellule a un organismo unitario. Che perviene a una scoperta fondamentale: che l’essere individuale – e quanta fatica per diventarlo – deve morire!

La precisione del rimando è garantita dall’essere l’Autore un biologo; l’anatomia e le funzioni sono assolutamente precise e si prestano a slittamenti di senso e calembours molto godibili.

Il rovello dominante di Viskovitz è il sesso. Ma nei modi che solo un biologo può conoscere e raccontare; imprevedibile e aberrante quanto si vuole (secondo parametri umani) ma sempre necessario e funzionale all’imperativo della riproduzione. E rigorosamente ‘a-morale’.

Viskovitz, in quanto vivente, ha i suoi tempi ben scanditi. Nasce, cresce, vive (sopravvive), si riproduce, cerca di non morire. Quel che non è biologicamente determinato e che fa di lui un caratteriale – o un sovversivo – è  l’‘Amore’: l’amore per Ljuba (qualunque sia la forma che essa prende). È questo che in definitiva lo apparenta a noialtri ‘umani, troppo umani’.

“Sei una bestia, Viskovitz” è anche uno spettacolo teatrale, molto fedele al testo, con una sua godibilità legata alla diversa forma espressiva e alle possibilità della voce. Con qualche perdita – le venti ‘bestie’ del libro sono ridotte a sette – e qualche aggiunta…
Si poteva immaginare, solo leggendo, un Viskovitz-spugna che parla veneto, una carnale Ljuba-pesce romagnola o uno squalo siculo?

Daniela Di Giusto è l’attrice – nonché adattatrice e regista – del lavoro.

Guarda su YouTube, una sintesi dello spettacolo del 2010:

http://www.youtube.com/watch?v=g35NPofYEzc

 

Daniela, a distanza di tre anni dall’apprezzato debutto con numerose repliche al Teatro dell’Orologio di Roma, ripropone il suo spettacolo al Fontanone del Gianicolo venerdì prossimo 22 agosto alle ore 22,15.
Per quelli tra i nostri Lettori  che si trovano a Roma, questo venerdì sera di agosto, uno spettacolo da non perdere!

Sei una bestia Viskovitz

La locandina con la sede e l’ora dello spettacolo: cliccare per ingrandire

La locandina completa dell’evento. in file .pdf  di grande formato: Sei una bestia Viskovitz

La recensione più completa, con le foto di scena, su “Mag O”, il Magazine della Scuola di Scrittura ‘Omero’: leggi qui

 

Ponza in tavola

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di Sang’ ’i  retunne

Ponza in tavola. Venerdi pesce. Red

 

Ponza in tavola

 

Giggino – Tu l’è saputo ch’hanno fatto ’na festa a Ciancoss’ ?
Sang’ ’i  retunne – ’Na festa? Non mi pare.

Gg – Comm’ no? Tipo ’nu festine senza sposi.
Sr – Ah sì..! la degustazione dei prodotti tipici ponzesi?

Gg – Ecco bbrave. M’aggie fatt’ ’na magnata. Me so’ fatt’ nuov’ nuove.
Sr – E te pareva ! E i soldi chi te li ha dati? Assuntina?

Gg – Seee, i sorde. Là se pavava cu’ ’i cartuscelle!
Sr – Ma quali pezzi di carta? Dovevi cambiare la valuta con dei buoni acquisto.

Gg – E ì mi so’ fatt’ ’i fotocopie d’i bbuoni … Mica so’ fesso!
Sr – ’U solit’ ’mbruglione. Comme se po’ ghi annanze c’a gente cumm’e tte?

Gg – Io ’mbruglione? Quelli del trenino non li hanno accettati, ’u bar ha ditte ch’ì putevo purta’ a sorèma. E po’… è cosa ’i cucena’ a’ casa e ’i purta’ ’u mmangià miezz’a via?
Sr – Ma guard’a chist’. Scusa, ma non è meglio ’a rrobba fatta in casa?

Gg – Meglio? E i ristorant’ che ce stann’ a ffa? A cagna’ aria?
Sr – Che c’entra? Era per rendere più caratteristico l’evento.

Gg – Ma si nun ce steve manc’ ’nu ciat’i viente …addò l’è sentute tu ’stu viento caratteristico?
Sr – Eeeh… stamm’ appost’! Lascia sta. Comunque c’erano i piatti pure dei ristoranti.

Gg – I piatti sì, ma no ‘a robb’a ’ind.
Sr – Ma nun’ è overo. E’ fa’ semp’ u scazzelluse pe’ ’mbruglià a modo tuie.

Gg – Comunque, ho assaggiato tutto, ma proprio tutto.
Sr – Allora potresti dare un tuo giudizio sulle ricette ed imbastire una recensione sulla pubblicazione che è stata fatta in occasione dell’evento?

Gg – Nun me pare che ce stéven’ i sarti, né i vestiti: quindi niente imbastitura.  E poi la ricezione della pubblicità non era buona, diciamo ’na schifezza.
Sr – Madonna mia, ma ch’è capite? Io mi riferivo alla brochure “Ponza in Tavola” che è stata realizzata e presentata per l’occasione.

Gg – Sient’a mme. Briosce e briosciucce i’ nun’aggie viste, e ’ngopp’a tavula Ponza non ce steva! …Po’ si l’hanno mise dopp’ ca me ne so gghiuto, nunn’u saccie!
Sr – Certe volte parlare con te è come parlare a un coreano: nun capiscie niente!

Gg – Uée! N’accummenciamm’ cu’ ll’offese che ie te ienche ’i chit’e’mmuorte!
Sr – Insomma, iammuncenne… ’na vota tante nun te puoi lamenta’!

Gg – Sì, a robb’ era bbona, però…
Sr – Però?

GgE che madonna..! Ma dopp’ ca ie aggie assaggiat’ tutt’ cose, ’a tutti i banc’ e banchetielle, e me so’ alleccate pur’ i ddete, gli Organizzatori nun putevene mette ’nu premio “Degustatore Benemerito” …’nu ricurdino, ‘na cusarella ’a purta’ a’ casa, p’a famiglia …comme se fa ai festini ’i sposa? …Ma che mmuort’i famme!


Botta e risposta su Frontone

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segnalato dalla Redazione
Frontone.1. Resized

 

Riportiamo questo scambio dalla stampa on-line di ieri 21.08.2014: disposizioni del Sindaco e relativo commento di un avversario politico – leggi da h24notizie.com

Il giornalista riprende il verbale/multa di Frontone con i nomi dei ‘colpevoli’, sottolineando il comportamento decisionista del Sindaco.
Non finiamo mai di stupirci di come le ‘veline’ del Sindaco includano le generalità del presunti colpevoli secondo la logica aberrante dello “sbattere il Mostro in prima pagina”; quando altrove si mettono le iniziali perfino per gli assassini.

Mentre nel Commento si rileva un’innegabile verità: che sulla spiaggia sussiste un vero “ecomostro” – la struttura ex-Enal recentemente ampliata (in cemento armato), e infine bloccata – su cui mai si sono indirizzati gli strali del Sindaco né si è fatto un serio tentativo di trovare una soluzione all’obbrobrio estetico. Anzi ai tempi dell’ordinamento di chiusura dello “Sporting club” sui media si lasciava velatamente intendere ai Lettori che fosse quello l’ecomostro in questione.

Di qui la nostra necessità di fare chiarezza sull’equivoco (leggi qui e qui)

A queste richieste sempre più pressanti non abbiamo mai avuto risposte esaurienti. Anzi, proprio nessuna risposta!
Noi continuiamo a proporre la questione…

Frontone. Carpobrotus

Tra Chiar’i luna e Frontone

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di Martina Carannante
Arrivo dal mare

 

Cicciotta – Allora, ci stai andando al mare?! Non ti vedo molto abbronzata
Perchie ’i funnale – E come non ci vado! Tutti i iuorne a Chiar ‘i luna!

C - A Chia ’i luna!? E come fai? Scavalchi? Vigili e sceriffo non se ne accorgono!? Ormai l’unica spiaggia accessibile è Frontone e tutti se ne devono fare una ragione; al massimo puoi andare a Giancos, così controlli pure il depuratore… se puzza o no!
Pif – A Giancos? Noooooo! E poi che hai capito?! Io a Frontone vado, mica a Chiaia di Luna!

C – Ma come, mò l’hai detto che vai a Chiaia di luna!?
Pif – No a Chiaia di Luna, ma al chiar di luna! Quando non c’è sole!

C – Aaaaah! E ti vuoi spiegare! Fai tanto l’intellettuale, scrivi qua e leggi là, sai quello e quell’altro e poi manc’ ’u ponzese ‘ngarr a parla’?!
Pif – Ma io non faccio mica l’intellettuale! Lo dicono Loro che so’ intellettuale, mica io! E poi cu’ chi parla romano a destra e chi napoletano a sinistra nun me pozzo sbaglia’ pur’io?

C – E tu pure hai ragione! Ma spiegami bene ’sto fatto che vai al mare al chiarore di luna… Che hai fatto la fine di quella mia zia che per paura che la pelle si macchiasse, pure per stendere i panni si metteva crema e cappello?!
Pif – No, no ma che!! Mica è per il sole!

C – Allora perché lavori e solo la sera libera hai per fare il bagno??
Pif – No no, macché! Io vado al chiar di luna perché se vado la mattina trovo cristiani a destra e a sinistra, lettini per sopra, ombrelloni per sotto, cani, puzza di bagni e “una ammuina”!

C – E va bene, ma quello è il prezzo da pagare per l’estate; la spiaggia é una, la gente là va, le cooperative devono lavorare e i cani se non possono stare in piazza da ‘na parte devono andare!
Pif – E infatti chi sta dicendo niente? …io la situazione più adatta a me l’ho trovata e mi va bene, gli altri che si arrangiassero!

C – Eeeh, ma… mi pare che da domani ti devi arrangiare pure tu!
Pif – E perché, mò mandano i vigili pure ’i notte, a vede’ che succede?!

C – Veramente li hanno sempre mandati e poi ti arrangerai perché ormai pure la notte starà pieno di gente: lo sbancamento dei materiali sarà fatto al chiaro di luna!
Pif – Aaaah! Ma qua non si trova proprio pace eh?! Tene ragion Sang’ ’i retunne quando dice di Giggino che va a Terracina a far il bagno… Sai che ti dico?! Mò lo chiamo e faccio prenotare pure per me… tanto vale che quest’ultima settimana me la faccio di sole!

Barriere.3

Barriere a Frontone

Barriere.2

Frontone . Barriere.4

Frontone. Famiglie davanti alle barriere

Cavo elettrico

Affitto lettini e ombrelloni

Folla.2

Folla.1

Folla.3

Frontone scogli

Frontone scogli. Mare

 

 

I misteri dell’ecomostro

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La Redazione
Il cosiddetto ecomostro

 

La segnalazione di Vincenzo della risposta del Sindaco su un problema cruciale, in una sperduta pagina di “fiancheggiatori” su Facebook – ma quando mai si è visto? Perché non rispondere al Messaggero o a Ponza racconta che ciascuno per proprio conto hanno pubblicato la Lettera? – si presta a diverse considerazioni che ci ripromettiamo di approfondire singolarmente nei prossimi giorni.
Ma isoliamo la fondamentale, il messaggio che al di là delle risapute e noiose contumelie, il Sindaco per la prima volta propone all’attenzione di tutti i Ponzesi, diventando il fautore del risanamento della struttura ex-Enal che ora propone come una alternativa legale e raffinata allo Sporting Frontone” (parole sue!).

È qui il punto critico.
Di questa struttura che agli occhi di tutti è il vero “ecomostro” anche se si è lasciato credere che l’ecomostro fosse tutt’altro…
- chi sono i proprietari?
- c’è qualche procedimento legale passato o presente di abusivismo?
- perché e da chi sarebbe stato bloccato, se no?
- risponde a verità la voce diffusa che un indefinito aggregato di camere diventerà un albergo a più stelle?
- quante camere sono state aggiunte e con quale concessione?

A domande chiare, risposte chiare, per favore!

Economia, politica, cultura

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di Francesco (Franco) De Luca
Mediazione

 

Allo scadere dell’estate, che è il periodo in cui è prevalente nella vita isolana la dimensione economica, in un momento in cui le cronache giornalistiche verificano una vivacità nello scontro politico, si avverte la mancanza della cultura (in quanto fautrice di riflessione non di liturgie ideologiche).

Ora, la politica di per sé tende ad aumentare il potere di chi l’esercita, e l’economia tende ad aumentare il divario fra ricchi e poveri. Chi deve fare da mediatrice fra le suddette forze, a rinforzo della vita democratica, è la cultura. Senza, finisce che la politica viene subita dai cittadini perché il potere non li ascolta, l’economia polarizza le diversità non le amalgama. Con la cultura (in quanto riflessione critica) si bilanciano le forze a vantaggio della vita democratica.

Il ragionamento mira ad ottenere che i detentori del potere politico siano aperti alle sollecitazioni culturali, così come i padroni dell’economia si aprano alle considerazioni sociali, e i gestori dei mezzi di comunicazione tentino mediazioni proficue tra le parti. A tutto vantaggio della vita democratica del paese.

Di quale paese si sta parlando? Ma di Ponza, naturalmente. Anche qui si avverte un arroccamento dei fronti, come da guerra fredda. Quando invece l’interesse di tutti è che le parti dialoghino. Fuori dai preconcetti, dai fraintendimenti passati, dagli asti.

La fragilità del tessuto sociale della nostra isola ha bisogno di interventi connettivi, di rammendi associativi, anche in previsione del periodo in cui più si cerca la solidarietà ovvero il periodo invernale.

Chi ha orecchi intenda.

Risposta – non-risposta del Sindaco

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ricevuta da Piero Vigorelli sulla posta del sito
Municipio

Da: “Piero Vigorelli”
A: “info” – info@ponzaracconta.it
Data: Sun, 24 Aug 2014 12:45:04
Oggetto:

 

Vi ho già detto e ripetuto più volte che non intendo rispondere alle vostre domande e/o provocazioni.
Questo perché le vostre idee e alcuni membri del vostro Politburo redazionale mi fanno semplicemente orrore.
Inutile insistere. Fatevene una ragione. Vi auguro buona fortuna. Passo e chiudo.
Piero Vigorelli

 

 

Memo (10). Mi si nota di più se… o se… ?

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La Redazione
Ecce bombo

 

Noi lo capiamo Vigorelli. Deve aver avuto un bel dilemma…
Se rispondere che non rispondeva, o non rispondere per niente!
Un po’ alla Nanni Moretti!

E alla sua citazione cinefila da “Fronte del Porto” (E. Kazan, 1954), ci viene di opporgliene un’altra. Da “Ecce Bombo” (1978).
Come si dice… La storia si ripete: la prima volta in tragedia, le seconda in farsa!

Infatti, ci ridiamo sopra.

http://www.youtube.com/watch?v=yaiH2lGIvVw

 

Storia di una perdita …d’acqua

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di Alessandro Vitiello (Sandro)

 

Ebbene sì, ogni tanto bisogna ammettere le proprie sconfitte.

C’è stato un tempo in cui quando c’erano i problemi, c’erano gli uomini che li risolvevano.
Poi è venuto il tempo dei burocrati e tutto si è complicato.
Però anche a questo tempo nefasto si potrebbe porre rimedio ma a volte le montagne della mia isola sono poca cosa rispetto alle sue disgrazie.

 Fioriera.1

Dalle parti del misfatto

Torniamo a noi.
Che a Ponza manchi l’acqua in agosto non è una novità; che manchi nell’estrema punta dell’isola (Cala Caparra) è quasi regola.
Scoprire però che l’acqua che potrebbe essere utilizzata da un pò di famiglie che abitano dalle parti di Cala Fonte esca dai tubi dell’acquedotto per andarsene in mare con un rivolo dal getto costante, fa girare le scatole.
Può succedere e, quindi, da “bravo cittadino” chiamo il Comune di Ponza e mi faccio dare il numero telefonico dell’ufficio competente a cui segnalare il guasto.

Cattura.1

Mi risponde una gentile signora che mi da il numero di un’utenza fissa a cui chiamo diverse volte in giorni diversi.
Risponde una segreteria telefonica a cui racconto i dettagli del guasto, scandisco il mio nome, recapito telefonico e aspetto.
Dopo tre giorni di inutile attesa un amico mi dice di chiamare un cellulare da cui avrò sicuramente risposte.
Chiamo il numero di cellulare e il signore che mi risponde mi dice che quello è problema di vecchia data a cui non si può trovare soluzione se non arriva “da fuori” un pezzo.
Gli domando se si può trovare soluzione e lui mi consiglia di utilizzare un pozzo o una vasca per raccogliere le acque nelle ore notturne.
Altro non può fare.
Ne prendo atto e… basta.

Cattura.2

Nel frattempo – per vedere l’effetto che fa – incomincio a postare su Facebook una foto al giorno del pozza d’acqua e del rivolo.
Arrivano diversi commenti.
Il primo mi dice che quel guasto è stato “sistemato” già sette (dicasi sette!) volte e dopo qualche giorno è punto e daccapo.
Manca il pezzo e ci si arrangia con le “canotte”.
Dev’essere una qualche flangia speciale tipo quelle destinate ai pozzi petroliferi se in tutti questi mesi non è stata trovata e sistemata.
Sta di fatto che ad un certo punto “Ponza Futura”,  su Facebook mi indica una strada: “Chiama Vigorelli che gli tira un cazzotto in testa a Pietrantonie”

Cattura.3

Sarà che da qualche tempo non reputo più molto corretto tirare cazzotti in testa ai dipendenti comunali e sarà pure che Vigorelli è sicuramente impegnato in ben altre cose di maggiore importanza, non ho dato seguito a questo consiglio.
Comunque ho ritenuto opportuno fare di necessità virtù.
“Se nulla possono gli uomini ci si affida ai santi” – avrebbe detto qualcuno più devoto di me.
Ipotizziamo – dico ipotizziamo – che quell’acqua, attraversando quel pezzo d’isola acquisti proprietà curative e taumaturgiche?
Una cappelletta oggi, un santuario domani e a Cala Caparra ci sistemiamo tutti quanti.
Una commentatrice di sicure origini settentrionali si è azzardata a ipotizzare una SPA (centro benessere).
Si potrebbe fare, almeno parlarne.
Un’amica d’infanzia, anzi dei tempi delle medie, mi ha incitato a perseverare.
Forse ha qualche terreno lì attorno da lottizzare.
Sono partito sconfitto.
Il rivolo d’acqua ormai si è costruito un suo percorso ben definito e non ha quasi sbavature.
Dalle parti di Cala Fonte di acqua continua ad arrivarne poca e la mia idea di un luogo di culto non è decollata.
Un’unica consolazione: un buontempone ha cercato di tirarne fuori un’idea simpatica accreditando il “laghetto” che si è formato ad una nuova possibile licenza di affittabarche.

Cattura.4

Credo sia stato lo stesso fantasioso inventore del cartello “Affittabarche” ad aggiungere alla pozza d’acqua anche qualche barchetta di carta e pure due barchette fatte cu’ i palette: le foglie dei fichi d’India.
Non le vedevo da cinquant’anni, usate a quello scopo (*), e un pochino mi sono commosso.

 

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(*) Lino Catello Pagano usava le foglie più grandi dell’agave (zamperevìte o canna feola) come sci rudimentali per scivolare sulla neve! (leggi qui)


Memo (11). Frontone delenda est

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La Redazione
Arringa al Senato romano

 

« Ceterum censeo Cartago delenda est! »
- Per il resto ribadisco che Cartagine deve essere distrutta!
[Catone il Censore (234-149 a. C.)]

.

“Frontone delenda est”  …Frontone, al cui confronto la terra dei fuochi fa la figura di un salubre giardino dei semplici.

“Frontone delenda est” …e sopra si sparga uno spesso strato di sale.

“Frontone delenda est” …cloaca maxima in cui confluirono ogni sorta di crimini, corruzioni, connivenze…

Asl, Finanzieri, Ispettori del Lavoro, Carabinieri, Vigili del Fuoco, Guardie Forestali dove stavano? …mentre a Ponza si consumavano reati di ogni tipo?

…E gli impiegati dell’Ufficio Tecnico Comunale?

L’alcalde allora in carica si sa dove stava: fuori al Tripoli si leccava i baffoni pregustando un futuro da manager di Sodoma-&-Gomorra!

Gli ‘orrendi’ di Ponzaracconta si sa dove stavano: in riunione permanente al Politburo con colbacco pure a ferragosto, interrompendosi solo per mangiare arrosticini di bambini irrorati da abbondante vodka.

Il purtroppo infaticabile ‘Presidente’ si sa dove stava: ad un corso ‘full immersion’ (sott’acqua!) alla Michelin.

Anche l’‘Assessore’ si sa dove stava: al posto suo! …che se solo si azzardava a fiatare le buscava da tutte le parti.

Ma il “Salvatore della Patria”’ncopp’a qual’ chiana stév’? …E perché non c’è rimasto?

La Chiesa di Santa Maria. Aggiornamento

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di Martina Carannante
Chiesa San Giuseppe a Santamaria

 

Dopo aver proposto più volte le questioni legate alla chiesa di San Giuseppe nella frazione di Santa Maria – per l’articolo precedente e gli altri correlati, leggi qui - siamo lieti di comunicare che domenica 24 c.m. la funzione religiosa si è svolta nel piazzale adiacente la saletta parrocchiale, per la gioia di tutti i fedeli.
Già in mattinata erano trapelate le prime voci che fosse arrivato a Ponza un incaricato dell’arcidiocesi di Gaeta con una lettera per il Dottore che aveva negato il passaggio per l’accesso al piazzale e alla saletta; egli intelligentemente ha consegnato le chiavi del cancello che impediva l’ingresso all’area in questione.
I fedeli, felicissimi, si sono subito dati da fare per organizzare la funzione all’aperto.
Il parroco, sostituto di Don Ramon, ha celebrato la santa Messa davanti ad un nutrito gruppo di fedeli.
Con l’apertura dell’accesso si va a chiudere solo una parte di questa questione alquanto intricata; ma ora i fedeli sono più speranzosi che si risolva anche la diatriba riguardante l’immobile.
La fretta non è di Dio e la Giustizia deve fare il suo corso, ma almeno un primo passo avanti è stato fatto.

Santa Maria.1

Santa Maria.2

Santa Maria.3

Santa Maria.4

Santa Maria.5

 

 

 

 

La pesca miracolosa

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segnalato da Martina Carannante
La pesca

 

Guardate cosa è stato pescato nelle acqua tra Ponza e Palmarola! Lo chiamano “pesce re”, anche se in molti sostengono sia un “pesce vetro”.
Comunque è un pesce molto raro, non se ne prendeva uno da tempo.
Lo sottoponiamo al nostro esperto..!

Intanto il protagonista della prodezza potrebbe raccontare le circostanze della cattura!
Da un ‘innesco’ dello stesso genere “uno bravo” ci ha tirato fuori  un romanzo mitico!

 

“Ricerchina” sul web:
Effettivamente quello che ci somiglia di più è il ‘pesce re’ o opah (Lampris guttatus), presente nel Mediterraneo, appartenente alla famiglia Lampridae

Il vecchio e il mare. Romanzo

Il vecchio e il mare (titolo originale The Old Man and the Sea) è un romanzo dello scrittore statunitense Ernest Hemingway pubblicato per la prima volta sulla rivista Life nel 1952. Grazie a questo libro Hemingway ricevette il premio Pulitzer nel 1953 e il premio Nobel nel1954.

Il-vecchio-e-il-mare. Film

Il film omonimo è del 1958 diretto da John Sturges, con Spencer Tracy

Illustrazione

Dalle parti di Cala Fonte la bellezza è un valore

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di Alessandro Vitiello (Sandro)

 

Dalle parti di Cala Fonte (scusate la monotonia dei luoghi ma io appartengo a quella zona di mondo e quindi…) c’è un bellissimo giardino che costeggia la strada.

Scorcio da Cala Caparra.1

E’ una piccola striscia di terra che separa la strada che va verso la casa dei Sacco da quella che prosegue per il mare.

Una quarantina di anni fa per arrivare a Cala Fonte c’era un piccolo sentiero in terra battuta, polveroso d’estate e paludoso d’inverno.
Con l’elezione a sindaco di don Mario Vitiello nel 75 si decise di rendere quella stradina qualcosa di più importante, allargandola, asfaltandola e abbassandola di tre di metri per evitare l’eccessiva pendenza, salendo dal mare.
Si formò allora quel piccolo spazio.

Scorcio a Cala Caparra.2

Niente di particolare; sarebbe diventato l’ennesimo pezzo di terra abbandonato, pieni di rovi, al bordo della strada.
Invece quello spazio è diventato un angolo di piacevole bellezza.
Da quando sono andati ad abitare nella casa di fronte, Silverio Aversano e sua moglie Michela vi hanno dedicato tante ore del loro tempo.
All’inizio con piante da frutta, con un’enorme ficus ed altre specie botaniche.
Poi, dalla primavera 2012, è cambiato tutto.

Scorcio a Cala Caparra.3

Silverio ha ripensato quello spazio e gli ha dato nuova forma.
Via le piante che occupano grandi spazi e largo a un giardino di piante grasse messe in maniera ordinata e con un colpo d’occhio molto armonioso.
Non solo: cura maniacale dei dettagli come la sbiancatura del muro sovrastante, decorato con grande gusto.

Scorcio a Cala Caparra.4

Attenzione continua e lavori di pulizia costante hanno fatto diventare questo piccolo spazio un luogo da ammirare, anche per riprendere fiato, quando si sale a piedi da Cala Fonte.
Inoltre il microclima di quella zona favorisce una crescita molto accelerata delle piante messe a dimora.

Scorcio a Cala Caparra.5

Quello spazio e il lavoro che vi dedicano Silverio e sua moglie sono una lezione per tutti noi: la bellezza si esprime anche con l’attenzione e l’amore che si prova per i luoghi in cui si vive.
Ponza con la sua bellezza ci campa e ci camperebbe meglio se, a prescindere dalle inadempienze di chi amministra l’isola, ognuno si pigliasse cura di quello che sta fuori dalla sua porta.

Scorcio a Cala Caparra.6

Non tanto per affittare meglio le case ma per il piacere di vivere in uno spazio più bello.
Silverio e Michela hanno fatto un bellissimo lavoro.
Dovrebbe essere un modello da valorizzare.

Cala Fonte.7

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Gabbiani

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di Mimma Califano
Gabbiani.1

 

In un passato non lontano i gabbiani hanno ispirato poeti e scrittori.
Dalla famosa poesia di Vincenzo Cardarelli: Gabbiani, alla favola moderna di Luis Sepulveda: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare o ancora Il gabbiano Jonathan Livingston, noto romanzo di Richard Bach.

Gabbiani. Mare

Gabbiano a specchio

Il loro volo elegante ha sempre evocato immagini di spazi aerei, di libertà di andare, di moto continuo tra l’azzurro del mare e del cielo. Ieri.
Ma oggi?

Leggiamo ciò che scrive Rumiz, dalla sua isola in Croazia, nella nona puntata dell’ormai noto reportage “Il guardiano del faro” (leggi qui):
“In un primo momento pensai che il resto del pollame se lo fossero arrostito i faristi. L’assistente soprattutto, che non ne poteva più di pesce e non cucinava che bistecche. Così non osavo chiedere. Ma un giorno il custode anziano chiarì il mistero. “Le altre se le sono mangiate i gabbiani”, disse, e mimò la scena di un micidiale attacco concentrico ad ali spiegate”.

O la triste fine della colomba attaccata e divorata in volo lo scorso mese di gennaio in piazza San Pietro, subito dopo il lancio fatto dal papa.

O i voraci gabbiani che a Piazza San Marco a Venezia si lanciano sui vassoi che escono dai bar! Sembra che abbiamo anche delle preferenze: il Club sandwich, con bacon, tacchino o pollo e pomodoro!

O gli stormi di gabbiani che vivono nelle discariche urbane.

…E il pericolo che costituiscono per gli aerei in volo?

Gabbiani. Discariche

Gabbiani e immondizia

Isola di San Francesco del Deserto. Venezia. Autore Silvio Bon

Gabbiani. Aerei

Gabbiano reale.2

 

Ormai i gabbiani stanno diventando un problema diffuso e Ponza non sfugge.

Già da qualche anno mi capita di sentir raccontare di gabbiani che si portano via gattini, tenuti tranquillamente, così si credeva, nel cortile di casa; ma ultimamente la situazione sta veramente degenerando.

Non si fa in tempo a mettere da mangiare ai gatti, bocconcini o altro, che piombano anche in due o tre ed in pochi secondi tutto è sparito, questo succede anche in presenza degli umani e vicino alle abitazioni, è successo anche a me pochi giorni fa. Non hanno alcun timore delle persone, anzi con i loro forti becchi ed un apertura alare che può superare il metro e mezzo, sono loro a far paura a chi se li vede arrivare!

Come, con tristezza, ho dovuto constatare che è cessato il canto delle tortorelle che avevano nidificato nel mio quartiere. I gabbiani le hanno sterminate, è rimasto solo qualche  mucchietto di penne.

Per non parlare dei pochi uccelli migratori che arrivano sfiniti in prossimità delle nostre isole per un po’ di riposo e finiscono nei becchi e zampe dei voraci assalitori in attesa.

Ma come siamo passati da un’idea poetica di questi grossi uccelli marini ad una che li associa al degrado e quasi ad una minaccia?

Semplice, sono cambiati gli equilibri. Prima i gabbiani erano pochi ed avevano tanto da mangiare, adesso stanno diventando tantissimi e il cibo incomincia a scarseggiare.

I gabbiani non hanno predatori naturali, tuttavia fino agli anni ’70 – almeno nelle nostre isole, ma probabilmente anche in altre zone -, era l’uomo il loro “nemico naturale” o meglio “il controllore delle nascite”. Le uova dei gabbiani venivano utilizzate.

Gabbiani. Due uova

Piccoli di gabbiano

Gabbiano in volo.3
Il territorio – soprattutto Palmarola, da sempre preferita dai gabbiani per la nidificazione – era pattugliato alla ricerca dei nidi. I ragazzi più leggeri ed agili arrivavano a calarsi, con l’aiuto di corde, anche sui fianchi dei faraglioni più impervi e questa faticata, non priva di pericoli, veniva ripetuta a distanza di pochi giorni dalla prima, perché la femmina non trovando più le uova ne avrebbe deposto delle altre e queste sì che sarebbero state buone (fresche). Poiché il loro periodo di nidificazione è in primavera che poi corrisponde alla Pasqua, la maggior parte delle uova dei gabbiani finiva nei casatielli o altre bontà pasquali, nonché in grosse frittate, magari di asparagi selvatici, anche questi primaverili…

In genere si afferma che le uova dei gabbiani non siano gradevoli perché porterebbero un odore di pesce; mi è stato invece assicurato, da chi le ha mangiate, che quando le uova sono appena deposte, non è affatto così, in pratica non le distingui da un uovo di gallina. O forse sarà come diceva Bertoldo: il miglior boccone è la fame!

Oggi però le loro uova nessuno le va più a prendere ed il numero dei gabbiani sta aumentando in modo esponenziale. Mentre un discorso serio di “controllo delle nascite” andrebbe affrontato.

Gabbiani. BN

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